
Il ricambio di personale nelle carrozzerie sta diventando una vera emergenza. I giovani sembrano poco attratti eppure sono offerte stabilità, possibilità di crescita e buone retribuzioni. Cosa è cambiato? Lo abbiamo chiesto a Luca Accornero, docente e consulente nel mondo del lavoro
Luca Accornero è un vero esperto quando si parla di lavoro, forza lavoro ed organizzazione aziendale. Non solo perché ha affrontato questi temi con il mondo accademico, ma soprattutto per il contatto diretto che ha ogni giorno con le aziende a cui presta consulenza, anche nel settore carrozzeria che conosce molto bene. Quando parla trasmette subito sicurezza, perché non è un venditore di idee ma un uomo concreto che sa contestualizzare il tema nella nostra attuale società. Da studioso ha analizzato il contesto attuale con gli strumenti necessari e ci ha subito spiegato che la situazione che stiamo vivendo non deve stupirci, perché è figlia dell’evoluzione della società che corre forse più veloce dell’approccio dell’imprenditore al mondo del lavoro.
Oggi le carrozzerie faticano a trovare giovani da inserire nelle loro attività. Prima di tutto, di che tipo di giovani parliamo? Come sono diversi dalle generazioni precedenti?
«Parliamo di giovani che, nella mia esperienza, si affacciano al mondo del lavoro in carrozzeria principalmente da due canali: quello del mondo della scuola professionale, a volte anche degli istituti tecnici, che hanno deciso di intraprendere un percorso scolastico volto al mondo tecnico e tecnologico e poi giovani che sono attratti da questo mondo perché è legato al fascino dell’auto e della moto e quindi coniugano o vorrebbero coniugare una loro passione, un loro interesse con quello che è uno sbocco lavorativo. Come sono cambiate le generazioni? Sicuramente direi che fino a una quindicina di anni fa il mondo del lavoro per i giovani era l’opportunità di costruire un progetto di vita, il lavoro era lo strumento attraverso il quale un giovane faceva il salto, usciva dalla famiglia, si creava indipendenza, si costruiva un disegno proprio di vita. Oggi, invece, il lavoro è per i giovani uno strumento, quindi a tutti gli effetti è lo strumento attraverso il quale coniugano tutta una serie di interessi che gravitano attorno ormai alla loro socialità. Quindi non è più il lavoro della vita ma è lo strumento che in questo momento consente di coniugare la vita sociale con la quotidianità lavorativa. Un cambiamento che è, da un lato, proprio mentale, dall’altro anche di prospettiva. Chiaramente oggi le generazioni non sono più quelle che ambiscono ad entrare in un’azienda con un percorso di carriera, quindi con una crescita economica e professionale. Oggi la loro mira è quella di entrare in un’azienda per soddisfare al meglio quello di cui in questo momento hanno bisogno. Quindi tutte quelle cose su cui socialmente sono bombardati, perché questa è la verità, oggi il giovane è bombardato da stimoli che rendono il lavoro strumentale capace di soddisfare questi stimoli. Quindi una soddisfazione immediata: quando dicono che preferiscono andare a lavorare nel supermercato guadagnando molto meno che in una carrozzeria scelgono una soluzione con turni predefiniti, hanno sostanzialmente e rigorosamente già incapsulato il ritmo del lavoro. Sanno, soprattutto, quanto tempo rimane a disposizione per organizzare tutte quelle attività che per loro oggi sono quasi prioritarie rispetto al lavoro stesso».
Molti danno la colpa di questa carenza di giovani alla scuola professionale, che non attrae più i giovani, e come se non bastasse quelli che la frequentano vengono considerati impreparati. Un vero fallimento?
«Dire colpa della scuola è troppo… perché il nostro sistema scolastico in Italia certamente è di valore sia da un punto di vista di contenuto sia di metodo, forse quello che certamente manca o è mancato negli ultimi anni è avvicinare la scuola al mercato ma con delle risposte che potessero rendere appetibile all’imprenditoria il prodotto che usciva dalla scuola. Tutti quei processi di alternanza scuola-lavoro, comunque di stage, di stage curricolari che sono stati intrapresi non sempre sono finalizzati a tirare fuori dallo studente della potenzialità che ha per quel settore merceologico. Molto spesso sono riempitivi di tempo, riempitivi di un numero di ore che servono, rispondono ad un programma ministeriale, ma non c’è questa simbiosi che potrebbe essere l’anticamera invece di un percorso di lavoro. Quindi non è stato un fallimento vero e proprio, quello della scuola, perché comunque i giovani che escono dalla scuola sono abbastanza acculturati ma escono più propensi a soddisfare delle esigenze personali».
Quindi hanno voglia di lavorare?
«Esatto, ma sono oggi forse meno fidelizzati alla maglia, ma non sono certamente degli scansafatiche.. Oggi pesano di più se quello che è il corrispettivo di quanto tu a loro chiedi è effettivamente corretto nei confronti proprio di quello che gli chiedi».
Allora, azzardo, sono i datori di lavoro a essere disallineati con i tempi?
«Non è un’affermazione priva di fondamento. Oggi spesso abbiamo un’imprenditoria e un management che sono ancora arroccati sui vecchi stereotipi, sulle vecchie ideologie, su quello che hanno vissuto loro nella loro generazione. È normale. Oggi i miei figli comunicano con me in modo completamente diverso da come io comunicavo con i miei genitori e in modo completamente diverso da come ricordo mio padre comunicava con i suoi genitori; non è cambiato l’aspetto sociale da un punto di vista economico, non è cambiato l’aspetto se vuoi di cultura scolastica o di acculturamento familiare perché tutto sommato evolvendo o modificandosi abbiamo mantenuto degli standard simili, ma è cambiato completamente il modo con cui il giovane si può rivolgere oggi a un genitore o con cui non si può rivolgere a un genitore, quindi tutto questo se tu lo vai a trasporre nel mercato del lavoro ti fa rendere l’idea che forse a fronte di un cambiamento prepotente che ha interessato i giovani non c’è stata la stessa capacità o la stessa sincronicità nel cambiare il mondo del lavoro, quindi spesso abbiamo proprio due velocità diverse. È come se tu volessi correre una competizione sostanzialmente in Formula 1 con una scuderia che è inadeguata per quel tipo di prestazione. Invece in questa società si vorrebbe correre anche nei tempi di inserimento al lavoro. La scuola, probabilmente, ha mantenuto una velocità inferiore che non ha trovato corrispondenza con quella che era l’esigenza del mercato e quindi questo certamente non facilita».
E se fosse che anche gli imprenditori delle carrozzerie vendono male le loro attività sul mercato? Il luogo comune le identifica come ambienti sporchi e poco sicuri…
«Ci sono ancora degli immaginari collettivi che vedono il mondo della carrozzeria come quello di addirittura 30-40 anni fa, dove si lavorava con temperature elevate, ambienti sporchi, cattivi odori e probabilmente anche in modalità usurante nel senso stretto della terminologia. Invece oggi il mondo della carrozzeria è la rappresentazione della trasposizione di tutto quello che sono la tecnologia e il digitale. L’imprenditore, il carrozziere, il titolare di una carrozzeria deve vendere meglio il proprio ambiente di lavoro. Come sanno fare bene le multinazionali. Spesso gli imprenditori non spiegano neanche la posizione, non ce l’hanno neanche a volte ben definita nel loro mansionario interno. Quindi alla domanda classica del ragazzo, io cosa farò?, Stando qui cosa mi farete fare?, arriva la laconica risposta “Poi vediamo”. Quel “Poi vediamo” genera incertezza».
Bisognerebbe guardare alle nuove leve del lavoro come a un investimento finanziario e quindi dedicare tempo e risorse alla loro formazione?
«Esatto, credo che tu abbia centrato il tema, quello che secondo me è il tema vero su questo argomento. Troppo spesso la risorsa, il giovane in particolare, in generale tutte le risorse ma il giovane, mettiamoci l’accento, viene visto solo come un costo, non pensando che invece è un investimento. Cioè è un costo iniziale che dopo un periodo prefissato ma organizzato dovrà garantire una certa redditività all’impresa o all’azienda, alla carrozzeria. Questo tempo è necessario. Una risorsa diventa tale, cioè diventa risorsa con la R maiuscola dopo un periodo nel quale io ho trasferito a questa risorsa tutto quello che le serve per cominciare a restituirmi quei servizi per cui io ho investito del tempo e ho investito anche del denaro».
Cosa bisogna offrire a un giovane durante un colloquio di lavoro?
«Propongo uno schema con i quattro punti cardinali. Prima di tutto bisogna offrirgli una prospettiva, quindi un cammino, un percorso, un disegno professionale, senza volere andare oltre quelle che sono le possibilità che in quel momento l’offerta può mettere sul tavolo. Poi sicuramente un corrispettivo che faccia in modo che per quel periodo quel giovane non sia distratto, quindi non venga attratto da altri “stimoli” esterni. Poi bisogna offrirgli la visione di “chi siamo” e di che cosa possiamo fare insieme, quindi la nostra carrozzeria a chi si rivolge, cosa fa. Vendere l’ambiente di lavoro e in ultimo arricchire l’offerta con quegli elementi che oggi sono di interesse di un giovane, per esempio corsi di formazione, tempo libero».
Dopo l’inserimento è necessario lavorare insieme a un progetto di crescita? Come gestirlo?
«Prima cosa servono feedback. Ecco, i giovani hanno un inconsapevole bisogno del feedback, dico sempre che è un inconsapevole bisogno, nel senso che li vedi spesso forti, pieni delle loro capacità, competenze e non si rendono conto però di questo bisogno, è un bisogno implicito che hanno perché vedi che molto spesso te lo chiedono indirettamente. Occorre un continuo confronto: “Sto andando bene, non sto andando bene, ho fatto bene, ho fatto male, se ho fatto male perché?”. Quando si ristruttura un appartamento c’è lo stato di avanzamento lavori che tu fai con l’impresa. Ecco, quello dovrebbe essere, guardiamo lo stato di avanzamento lavori in questo percorso che abbiamo condiviso. Dove siamo messi? Cosa è mancato? Cosa manca? Che cosa è venuto meno? Perché è venuto meno? Su cosa dobbiamo lavorare?».
Poi c’è l’emergenza dimissioni. Questa situazione ha innescato un vero furto di manodopera da una carrozzeria all’altra. Come si trattiene una risorsa? Solo soldi?
«Purtroppo c’è da fare una considerazione. Negli ultimi anni, rispetto a dieci o quindici anni fa, vuoi per ragioni di concorrenza di mercato, vuoi per ragioni di cambiamento della società le statistiche riportano che oggi un giovane, fino a 30-35 anni, ogni due anni cerca di cambiare lavoro. Perché molto spesso i giovani vanno via proprio perché in due anni non è cambiato nulla da un punto di vista di acquisizione di competenze, di acquisizione di conoscenze, di miglioramento del proprio ruolo lavorativo e quindi dopo due anni hanno bisogno di una nuova sfida. Il percorso di inserimento di un’azienda è un po’ come un videogame a livelli, quando tu hai concluso un livello ti viene voglia di andare a quello dopo, ti viene voglia poi di andare a quello successivo. Questo che cosa comporta? Che devono cambiare un po’ le regole del gioco perché se il secondo livello fosse uguale al precedente non avresti lo stimolo a pensare di concluderlo per arrivare al terzo, quindi noi dovremmo pensare un po’ a dei livelli concordati con la risorsa, molto onesti, quindi senza dovere fare sforzi o investimenti che non siano commisurati al ruolo o alla mansione che io sto cercando come imprenditore, che però diventino un po’ accattivanti e sfidanti per la risorsa, esattamente come il desiderio in un videogioco di andare a livello successivo, di andare avanti. Poi molti non si sposano e non convivono, ci sono molti meno impegni che ti vincolano alla scelta. Rispetto al passato le nuove generazioni hanno molti meno impegni e minore voglia di impegnarsi nelle scelte sociali. Quindi sono più propensi, per esempio, a vivere un percorso a seconda delle opportunità che gli si apriranno, a seconda delle sfide che in quel momento la vita in qualche modo gli genererà come opportunità».
Oggi va di moda il well-fare: è uno strumento utile per l’imprenditore?
«Se per trattenere una risorsa punti ai soli soldi, allora in azienda stai vivendo una emergenza. Dobbiamo prendere atto che per potere allungare il rapporto di lavoro, quindi fare in modo che sia solo l’evento eccezionale che porta alle dimissioni, ci sia un percorso strutturato e un percorso che coniughi, come dicevamo prima, la motivazione al lavoro e la soddisfazione che questo lavoro deve produrre nella risorsa. Il denaro diventa un parametro di comparazione, cioè diventa un elemento di benchmarking quando vengono meno altri aspetti. Allora, per dirla così, tu mi fai lavorare come un matto? Quell’altro mi fa lavorare come un matto? Allora vado da chi mi dà di più. Meglio creare un ambiente attrattivo. Mettiamoci nei panni del giovane: “Se sono in un ambiente dove magari percepisco uno stipendio inferiore ma ho altri benefit che sono anche di crescita, di formazione, di specializzazione, quello che io mi metto nel mio zaino di vita per potere rendere più competente il mio profilo e anche vendibile il mio profilo, allora resto”. Non sono solo i soldi che trattengono una risorsa, anzi forse sono un elemento scontato perché tanto lo fa il mercato. Perché allora non mettere sul piatto anche il welfare? Se noi dicessimo a un dipendente di una carrozzeria welfare, ovvero copertura sanitaria, dentista, libri per i bambini, viaggi. Buoni che puoi spendere in tutti i modi. Allora la musica magari cambia».
Quando nel gruppo qualche elemento non funziona è bene estirparlo anche a rischio di costi elevati…
«La responsabilità e, lasciami dire, anche etica di un imprenditore, è cercare sempre di ricostruire il rapporto con una persona e di mantenerla all’interno di una squadra, anche a fronte di situazioni magari negative che ci possano essere state. Però poi, quando si vede che questa persona diventa lesiva del gruppo, diventa controproducente per la crescita del gruppo, va ad alterare il clima che c’è all’interno di un gruppo, la scelta imprenditoriale deve essere quella di rimuovere quella persona dal team. Proprio per non condizionare negativamente… per non fare ammalare tutta la squadra».
In emergenza forza lavoro che fare?
«Cominciare anche a guardare all’interno del proprio team se sia possibile fare crescere qualcuno senza avere il timore di scoprire dei ruoli. Quindi nel momento in cui io ho una persona che rappresenta un potenziale e potrebbe andare a ricoprire una figura specializzata accetto la sfida e rischio di perdere una brava risorsa in una mansione già ben inserita ma per proiettare quella risorsa ad un livello di maggiore specializzazione o ad un livello di maggiore efficienza ed efficacia per la carrozzeria stessa».
Come cambierà il mondo del lavoro nei prossimi 10 anni?
«Il cambiamento lo farà il mercato e se non si ascoltano questi cambiamenti si rischia di restare fuori. Ci saranno aggregazioni anche in carrozzeria come è successo in altri settori proprio per essere meno influenzati dai problemi e avere maggiore capacità di assorbire le difficoltà. Bisogna sempre guardare al futuro come opportunità, non come difficoltà. Meglio governare una dinamica che subirla».
a cura di Renato Dainotto - Foto Photo-R
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